Lo Scopo alla Guida delle Organizzazioni

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di Andrea Mastrorilli, Associate Partner yourCEO

 

 

Negli anni trascorsi in grandi organizzazioni multinazionali ho potuto notare che molto spesso, più di quanto si creda, il focus viene posto sulla missione aziendale, e cioè sul come l’organizzazione sia in grado di generare risultati economici, piuttosto che sullo scopo e cioè sul perché dovrebbe farlo.

Lo scopo, infatti, non riguarda i risultati economici. Esso riflette qualcosa di più aspirazionale. Spiega come le persone coinvolte in un’organizzazione possano fare la differenza, dà loro un significato più profondo dal quale trarre sostegno. Ma, come spesso ho avuto modo di constatare di persona, in un mondo che corre a velocità sempre più elevate, sono i numeri, gli “economics” che guidano le organizzazioni e chi le amministra. Diciamo pure che il concetto di uno “scopo superiore” non è allineato con la formazione accademica classica riguardo alla gestione aziendale. Tale formazione tende a vedere i dipendenti come persone interessate a sé stesse e al proprio “contratto” in maniera egoistica e quindi, di conseguenza, tende a pilotare l’intera struttura solo da un punto di vista numerico che, guarda caso, viene spesso disatteso.

Ed è proprio quando ci si trova in questa situazione che gli amministratori devono fare una scelta: possono raddoppiare il controllo sui dipendenti vincolandoli a parametri sempre più stringenti ed aumentando la pressione sul risultato economico/numerico, atteggiamento questo che certamente li terrà al sicuro nella loro zona di comfort, oppure possono allineare l’organizzazione ad un autentico scopo superiore che intercetti gli obiettivi di business e che guidi le decisioni aziendali. Se decidono per la seconda opzione, il personale comincerà a sperimentare nuove strategie, nuovi approcci ai problemi, cercherà di crescere prendendosi dei rischi, imparando dagli sbagli e dando nel contempo un contributo incredibile.

Sono sicuro che molti obietteranno sostenendo che il primo approccio, quello più accademico, deriva dalla reale fotografia di molte organizzazioni nelle quali i dipendenti non possiedono tutta questa voglia di essere parte di qualcosa di più grande. Tuttavia, se il management vede i dipendenti con questo filtro non fa altro che creare proprio quelle condizioni e quel clima che vorrebbe evitare. È quella che in inglese viene definita “self fulfilling prophecy”. Proviamo allora a seguire l’approccio più tradizionale, quello da business school e impostiamo una politica incentrata sul controllo e sugli incentivi contrattuali. In questo caso i dipendenti sceglieranno di rispondere principalmente agli incentivi indicati nei loro contratti e ai controlli loro imposti. Ponendo il focus su questi punti essi non solo non saranno in grado di vedere le opportunità ma contribuiranno a creare conflitti interni, feedback negativi e non riusciranno a generare le performance attese. Ecco quindi che il management, ritenendo corrette le assunzioni di partenza, eserciterà ancora più controllo e punterà sempre di più su premi ed incentivi. Valori aziendali ed obiettivi a medio-lungo termine diventano a questo punto parole vuote, prive di significato. Le persone fanno solo quello che devono fare. Ancora una volta i risultati non saranno all’altezza delle aspettative creando nel contempo una spirale negativa pericolosa e difficile da arrestare.

Dunque, come è possibile partendo da questi presupposti creare un’organizzazione guidata dallo scopo e non dai risultati economici?

Come prima cosa dobbiamo uscire dalla logica che i dipendenti, per definizione, fanno solo quello pattuito nel contratto fornendo un determinato livello di prestazione a fronte di un determinato livello di remunerazione economica e niente più. È compito del management ispirare i propri collaboratori a mettere qualcosa in più in quello che fanno lasciandoli liberi di esprimersi, di sbagliare ma soprattutto di prendersi le proprie responsabilità. Un modo pratico per fare questo è quello di trovare degli esempi di eccellenza all’interno della propria organizzazione ai quali riferirsi e che possano ispirare il resto dell’azienda.
In seconda battuta è necessario trovare uno scopo che sia veramente “sentito” e che quindi nasca e sia frutto delle esperienze dei dipendenti e non solo di un ristretto gruppo di dirigenti. Non bisogna inventare niente, lo scopo è già presente nelle idee delle persone a tutti i livelli, in diverse sfumature con diversi significati. Il management deve solo osservare, ascoltare e quindi riassumere il tutto in uno scopo comune, figlio dell’organizzazione tutta.
Una volta trovato lo scopo è fondamentale che esso sia riconosciuto come autentico e che quindi identifichi e guidi i comportamenti, in special modo quelli del management. Non c’è cosa peggiore di annunciare ufficialmente scopo e valori aziendali se poi questi non sono congruenti ai comportamenti della dirigenza. In questo caso l’effetto che si ottiene è esattamente l’opposto di quello desiderato.
Adesso arriviamo ad uno dei punti più importanti e cioè quello di trasformare lo scopo in un messaggio costante come la stella polare, che permei l’organizzazione a tutti i livelli. Tale messaggio deve essere sempre presente e richiamato in tutte le attività, dal marketing alla logistica passando attraverso i programmi di formazione. Ogni attività deve rispondere al messaggio figlio dello scopo scelto. Solo in questo modo lo scopo veicolato dal messaggio è capace di provocare un vero e proprio cambio culturale nell’organizzazione a tutti i livelli e di liberare il vero potenziale.

Quindi lasciatemi dire che lo scopo non è solo un ideale astratto, ha implicazioni pratiche per il successo dell’organizzazione. Le persone che trovano un significato profondo e sperimentano l’appartenenza a qualcosa di più grande non si risparmiano nei loro compiti e sfidano le comuni convinzioni che li vedono legati al solo interesse personale. Insomma fanno di più e meglio.

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